GIOVANNI PAOLO II IN CATTEDRALE,
di Francesco Frascarelli

Assisi prediletta da Giovanni Paolo II: cinque pellegrinaggi; e non si sa mai... Le sue mani hanno dischiuso le porte della città e una massa di popolo si è riversata da terre vicine e lontane per ascoltare la sua parola. La ragione essenziale di tale preferenza consiste nel riconoscimento di un nesso inscindibile tra le antiche pietre e Francesco. Assisi è rimasta nella contingenza storica un centro arroccato sopra un colle, ma ha acquistato la valenza di un simbolo trascendentale ed appellativi fascinosi. Appartiene ad una sacralità divina e terrena, mèta di fedeli e devoti, poeti, scrittori e artisti, asceti e viaggiatori, sovrani, dignitari, personaggi politici, papi... In due occasioni Giovanni Paolo II ha varcato la soglia della cattedrale di S. Rufino. Venerdì 12 marzo 1982. L'interno è stato ormai sistemato secondo le indicazioni impartite dal personale vaticano durante vari sopralluoghi. Il servizio d'ordine, nell'imminenza dell'agognato arrivo, provvede a cambiare i microfoni e vieta ogni movimento nell'area del presbiterio. Egli giunge nel primo pomeriggio in auto dalla basilica di S. Francesco, dove ha partecipato all'Assemblea straordinaria dei vescovi italiani, indetta per celebrare l'VIII centenario della nascita di chi volle imitare Cristo con fedeltà e ardore. Scampanìo e applausi ricambiati da gesti affettuosi. Il pontefice cammina benedicendo lungo la navata centrale, accanto al vescovo mons. Sergio Goretti che presenta il priore del Capitolo don Aldo Brunacci e il parroco don Orlando Gori, al quale il Santo Padre rivolge imbarazzate domana: dove è in questa chiesa il Sacramento? Puntuale, ma timidamente pronunciata, la risposta: Santità, esiste un'apposita cappella! Giovanni Paolo II prende posto nel faldisterio davanti all'altare maggiore. Il vescovo Goretti tratteggia in sintesi la fisionomia della parrocchia: clero scarso, ma giovani sacerdoti che lavorano con generosità ed entusiasmo; i più anziani continuano il loro servizio con ammirabile zelo e dedizione; la partecipazione del laicato cresce ogni giorno. Il pontefice risponde al vescovo e alla folla dei presenti - costituita da sacerdoti, religiosi e rappresentanti dei movimenti laicali della diocesi - sviluppando alcuni concetti: riportare Cristo nella società; uscire dalle sacrestie e andare per le vie del mondo; operare in unione di carità: ad otto secoli dalla nascita anche quanti sono lontani dai valori religiosi guardano ammirati al santo perché vedono in lui una copia autentica di Cristo Gesù. Alla fine dell'incontro i sacerdoti si avvicinano per il bacio dell'anello. Il pontefice dispensa segni di cordialità avviandosi verso l'uscita. Fuori, gruppi di giovani fanno festa. Giovanni Paolo II, dopo l'omaggio alle clarisse presso la basilica di S.Chiara, concluderà la visita con l'allocuzione al popolo di Assisi pronunciata in Santa Maria degli Angeli presso il piazzale antistante la basilica. Lunedì 27 ottobre 1986, giornata di preghiera per la pace, annunciata il 25 gennaio nella basilica di S. Paolo: "La Santa Sede desidera contribuire a suscitare un movimento mondiale di preghiera per la pace... ". Assisi accoglie degnamente i rappresentanti delle religioni grazie alla convinzione di una comunità sensibilizzata da associazioni ecclesiali e laicali. Accurati e complicati i preparativi che avrebbero dovuto garantire agli ospiti pari grado e condizione. Nel rispetto di fattori spirituali ed esigenze rituali furono scelti i luoghi adatti alla preghiera e alla meditazione per ogni singola religione. Ai responsabili delle Chiese, confessioni e comunità cristiane venne assegnata la cattedrale di S. Rufino. Monsignori e funzionari del Vaticano più volte visitarono il complesso della chiesa e gli annessi per assicurare massima tutela, adeguato assetto logistico, coreografia semplice ma efficace. Si pervenne a decisioni vincolanti: accesso controllato, percorsi definiti, posizionamento del pontefice al centro del presbiterio, ma a livello di tutti gli altri; eliminazione di tappetti ed uso di una moquette color giallo-crema; predisposizione di alloggi transitori per una breve pausa dopo la cerimonia. Metà mattina del 27 ottobre. Il pontefice e le delegazioni delle confessioni cristiane (anglicani, cattolici, ortodossi, protestanti, relative diramazioni) giungono in cattedrale provenienti da Santa Maria degli Angeli, dove era stato stabilito davanti alla Porziuncola il primo approccio tra i leader di tutte le confessioni religiose. Attraggono la curiosità e suscitano giudizi tanto i volti che le espressioni, i gesti, le fogge, quanto la presenza e l'aspetto di donne-vescovo e sacerdotesse. La "diretta" organizzata da un pool di televisioni umbre, arricchita da collegamenti con altri luoghi e gruppi di preghiera, viene commentata dal vicario diocesano mons. Vittorio Peri, responsabile della organizzazione generale della giornata. Il pontefice dal bianco soprabito, il patriarca ortodosso Methodios dallo scuro mantello e il primate anglicano Robert Runcie fasciato in un vestimento amaranto si portano nella cappella del Sacramento e si genuflettono: solo i suddetti, in quanto le loro confessioni riconoscono la presenza di Cristo nell'Eucaristia. Dopo l'adorazione si levano e si dirigono verso l'altare maggiore intorno al quale vanno prendendo posto gli altri. Il vescovo Goretti intrattiene con discrezione gli ospiti. Tra il pubblico spicca la figura minuta di Madre Teresa di Calcutta. Giovanni Paolo II saluta l'assemblea con un brano dalla lettera agli Ebrei. L'intervento successivo suona come incoraggiamento ed ammonizione: impegno a superare le serie divisioni che ancora permangono fra cristiani; pentimento per le loro mancaze nel portare avanti la missione di pace e di riconciliazione; presa di coscienza di quelle esigenze di giustizia che sono inseparabili dal raggiungimento della pace. Il pontefice innalza una preghiera al Padre. Un canto contrassegna l'inizio della Proclamazione della Parola, scandita da letture, salmi, inni che coinvolgono direttamente le rappresentanze cristiane. L'esecuzione dell'Alleluia e del Veni Creator avvia la sequela delle Intercessioni, ovvero delle invocazioni a Dio, interiorizzate da momenti di silenzio, pronunciate in un alternarsi relazionale di linguaggi. Tanto decisa e incalzante risuona l'esaltazione della verità, della giustizia, della libertà, dei diritti, della riconciliazione, della tolleranza, del rispetto ambientale, quanto perentoria e tenace la condanna della guerra, della violenza, della tortura, della corsa agli armamenti, della fame, del razzismo, dell'egoismo, dell'arroganza, dello sfruttamento, dell'avidità, del pregiudizio, dell'oppressione. Lo scambio della pace, il Padre Nostro e un canto concludono la celebrazione. L'assemblea si scioglie. Il servizio d'ordine accompagna il pontefice verso la piccola porta che si apre nella navata destra: lungo il corridoio il parroco concede spiegazioni storiche. Non trapela stanchezza dal volto del pontefice; la figura appare un po' curva ma prestante. Un fatto tuttavia si nota: trascina i piedi sul pavimento. La porta della sacrestia si apre e si richiude. Il pontefice viene risucchiato e condotto in una stanza pressoché inaccessibile, protetta da un vano comunemente detto "il caminaccio". Il parroco e il personale domestico offrono thè e caffè alle delegazioni sparse per la casa ed il museo. Strette di mano, colloqui, osservazioni. Ma ecco che la pausa termina. Nella chiesa si ricompone il corteo. Il pontefice e il patriarca ortodosso tornano nella cappella del Sacramento per l'adorazione. Manca il primate anglicano. Viene cercato. Nessuna traccia: preoccupazione; si fruga in ogni angolo. Il personaggio è come scomparso: costernazione. Ovunque ispezioni. Il parroco rientra nella casa vuota e passa in rassegna ogni vano, anche i più improbabili. E proprio nello studio del vice-parroco don Luciano Avenati viene rintracciato il primate, assorto e impassibile. Cortesi sollecitazioni. L'uscita dalla cattedrale avviene ordinatamente. Acclamazioni ed onoranze. Il pontefice non benedice, avanza a capo chino: la circostanza gli impedisce di essere protagonista: nessun primato cattolico. L'atteggiamento verrà mantenuto fino alla basilica di S. Francesco. Nella piazza inferiore, sotto un cielo grigio, si conclude il progetto di raccogliere i rappresentanti di tutte le religioni. Aveva detto inizialmente il pontefice davanti alla Porziuncola che esiste "un'altra dimensione della pace e un altro modo di promuoverla, che non è il risultato di negoziati, di compromessi politici e di mercanteggiamenti economici. Ma è il risultato della preghiera". Domanda: che ruolo può esercitare la preghiera a favore della pace? Un passo del discorso tenuto in cattedrale è interpretabile come risposta: la pace è dono di Dio ed allora la preghiera diviene essenziale. Ma se la pace è dono di Dio l'uomo dovrà accentuare solo la preghiera restando in attesa? Risposta implicita: la pace è dono di Dio e a lui va richiesta attraverso la preghiera ma è anche "creazione" dell'uomo attraverso gli strumenti suggeriti dalla coscienza convertita. "Aiutati che Dio ti aiuta": il proverbio assume la valenza di un orientamento teologico: la pace come proiezione del piano divino e al contempo costruzione umana. Trova così spiegazione l'invito contenuto nella tredicesima Intercessione: "...preghiamo per gli uomini politici ai quali sono affidate le negoziazioni per la pace: imparino ad avere fiducia gli uni negli altri e possano gli accordi da essi raggiunti essere rispettati". Sono passati alcuni anni da quel 27 ottobre. Il cammino della storia ha conosciuto mutamenti e rivolgimenti. Resta ancora un'umanità crocifissa. Un seme fu allora gettato. Rispetto al divenire è trascorsa una frazione ineffabile di tempo. Germogli sono spuntati, ma il fiore della pace tarda a sbocciare. Il Giubileo potrà imprimere la volontà di una preghiera assidua e favorire utili iniziative. Quando verrà il tempo della Grande Alleanza.

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