UN DIALOGO DIFFICILE DA SEMPRE,
di Francesco Lampone

Il rapporto che lega gli abitanti di Assisi alla Basilica ed al Convento di San Francesco è meno ovvio di quello che, dall'esterno, si potrebbe credere. Rispetto, devozione, ammirazione, gratitudine, sono certo parole che aiutano a definire questo rapporto, senza perciò esaurirlo. Ma sono anche parole che recano nascosta in sé l'affermazione di una certa distanza, di una distinzione di identità non meno benevola che decisa. E' un fatto che risulta più evidente se lo si paragona al sentimento che lega gli assisani al loro duomo, San Rufino, o alle altre belle chiese di quartiere, dove per generazioni si sono sposati, hanno battezzato i loro figli, hanno celebrato le esequie dei loro cari: un rapporto intimo, familiare, quasi di proprietà collettiva, in cui l'edifico sacro sembra quasi divenire, prima ancora che un luogo di culto, uno snodo necessario di relazioni private e pubbliche. Altra cosa è invece San Francesco, e giocando sull'identità che colloquialmente confonde il complesso monumentale con il santo, verrebbe quasi da stabilire un parallelo con la distanza inevitabilmente instauratasi fra la città del milleduecento e il suo figlio più famoso: dapprima ostile, poi sospettosa, poi ancora cordiale ed amichevole, ed infine entusiasticamente devota, ma pur sempre distanza, come si conviene fra dei peccatori ed un santo (anche quando il santo non vuole). Insomma, una relazione stretta, ma non troppo. Frugando nella storia cittadina, non mancano esempi illuminanti, ma è certo che nessuno lo è tanto quanto ciò che accadde, durante il medioevo, nella manciata d'anni in cui Muzio di Francesco, già canonico della cattedrale di Assisi, esercitò il suo dominio sulla città. L'antefatto è presto detto: il 29 settembre 1319 Assisi, fino a quel momento di parte guelfa, passò ghibellina. Chi meno ebbe a rallegrarsene furono la potente rivale di sempre, Perugia, ardentemente guelfa e impegnata in una aggressiva politica di espansione territoriale, e il più guelfo di tutti, il Papa Giovanni XXII, costretto però nell'esilio di Avignone. Da subito Muzio, forte dell'alleanza con il conte Federico da Montefeltro e con Guido Tarlati, vescovo di Arezzo, capi del partito ghibellino nell'Italia centrale, non mancò di procurare grattacapi ai guelfi: dapprima Spoleto, e poi anche Nocera furono conquistate, grazie all'aiuto degli assisani, alla causa ghibellina. E poiché la guerra richiede denaro, Muzio pensò bene di andarselo a prendere dove sapeva di trovarlo con certezza: nel tesoro del Convento di San Francesco. L'attingimento ebbe luogo a più riprese. Dapprima, nell'ottobre del 1319, toccò alle decime delle diocesi di Assisi e Nocera, ben 16.000 lire cortonesi; ma nei mesi successivi fu la volta del tesoro papale, imprudentemente trasferito ad Assisi da Perugia intorno al 1312, nonché dei beni personali di vari cardinali e, per finire, di oggetti preziosi appartenenti alla chiesa di San Francesco. Il fatto era, a dir poco, clamoroso, inaudito, impensabile; tuttavia, le reiterate proteste del Pontefice furono rinviate al mittente, e la mobilitazione da parte di Perugia di un esercito ai danni di Assisi ebbe il solo effetto di incrementare le spese militari, e dunque il prelievo e la vendita dei preziosi da parte di Muzio. Dopo molte minacce, nel marzo del 1320 Papa Giovanni XXII si decise a sottoporre la ribelle Assisi all'interdetto, con ciò vietando la celebrazione di qualunque funzione religiosa in città; lo scopo era quello di fare pressione sulla popolazione assisana, ed al contempo di autorizzare ogni tipo di rappresaglia verso una città ormai in odore di eresia. Muzio, in tutta risposta, impedì in ogni modo che la notifica dell'interdetto potesse aver luogo in Assisi, al punto che i due frati minori incaricati di ciò furono arrestati alle porte della città, picchiati e costretti a ingoiare la lettera e bere la propria orina. Intanto, nel settembre del 1320, l'esercito perugino riusciva a conquistare il castello assisano di Bastia, demolendolo ed approfittandone per trasferire a Perugia il corpo del beato Corrado da Offida, custodito fino ad allora nella chiesa minoritica di S. Croce. Ciò dava corpo ad uno dei maggiori ed antichi timori degli assisani, e cioè che i perugini, appena ne avessero avuto l'occasione, avrebbero approfittato per trafugare e traslare a Perugia lo stesso corpo di san Francesco, custodito (allora in modo ancora accessibile) sotto l'altare maggiore della chiesa, e corroborava altresì uno degli argomenti già usati da Muzio per convincere sia i frati, sia gli assisani più esitanti, della necessità di impedire ad ogni costo una vittoria perugina. Ciononostante, questa vittoria arrivò, il 28 marzo del 1322, e non senza grave danno per Assisi. Le conseguenze, infatti furono di lunga data: esse significarono, da un lato, l'abbattimento di parte delle mura e l'umiliante soggezione politica della città a Perugia (sebbene con qualche sussulto d'orgoglio) per più di quarant'anni; dall'altro, né Giovanni XXII né i suoi successori si accontentarono delle scuse dei guelfi rientrati finalmente dall'esilio ad Assisi, e continuarono (più concretamente) a pretendere la restituzione del maltolto, perciò mantenendo fermo l'interdetto su Assisi fino a tutto il 1352, quando una transazione fra Papa Clemente VI ed il Comune di Assisi stabilì un indennizzo di 10.000 fiorini d'oro. Quanto a Muzio di Francesco, partitosene con pochi fedelissimi in esilio dapprima a Todi, poi ad Arezzo, fu sottoposto ad un lungo processo inquisitoriale in cui le accuse di negromanzia si mescolarono a quelle di furto sacrilego e di ribellione all'autorità papale, e finì per essere condannato in contumacia come eretico nel 1326. Se poi qualcuno desiderasse saperne di più su questa interessante vicenda, non avrà che da consultare il bel libro di Stefano Brufani "Eresia di un ribelle al tempo di Giovanni XXII: il caso di Muzio di Francesco", pubblicato nel 1989 da La Nuova Italia: avrà, fra le altre cose, la bella sorpresa di trovarvi la trascrizione dell'intero processo e delle testimonianze in esso rese dai cittadini di Assisi.

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